10 settembre 2015

COME GESTIRE I COLLABORATORI

Gestione dei collaboratoriOgni tanto rifletto sulla gestione delle mie collaboratrici e sulle problematiche che mi trovo ad affrontare dettate dalla convivenza di 8 donne, di cui la maggior parte a part-time.
In presenza di situazioni critiche mi viene da pensare se quello che faccio va bene o se potrei/dovrei operare in modo diverso.

Quello del “Capo” è un ruolo tutt’altro che semplice. Da una parte bisogna raggiungere i risultati richiesti dell’azienda, dall’altra è necessario orientare la squadra, motivandola e valutando i suoi bisogni. Nel fare questo ci si deve comportare come politici navigati, e ogni tanto si accarezza il pensiero che “il lavoro non sarebbe niente se non ci si dovesse scontrare con i problemi che nascono dall’essere il referente di altre persone”. Insomma la gestione dei collaboratori anziché un’opportunità di confronto rischia di diventare una “scocciatura”.

Devo dire che su questo punto sono stata piuttosto fortunata, perché nel mio ufficio sono riuscita a creare un buon equilibrio interno, però anche a me è capitato di:
 - passare tanto (troppo) tempo a fare digerire decisioni aziendali ostiche;
 - passare tanto (troppo) tempo a spiegare e rispiegare un compito che a me sembrava banale;
 - passare tanto (troppo) tempo a discutere su come, quando, chi e perché deve fare le ferie;
 - passare infinito tempo a cucire e ricucire i rapporti con gli altri uffici quando nascono degli assurdi campanilismi, o quando bisogna mettere un tappo alle inefficienze degli altri settori.
E così dicendo.

Ma soprattutto, quello che mi manda veramente in crisi, è quando al rientro da una riunione dove si è parlato dei massimi sistemi, o di argomenti che impattano sul futuro dell’azienda, mi trovo a dover risolvere una problematica contabile di (giuro) 10€, che in quel momento sta mettendo in crisi qualcuna.
Aaagh!!
Ecco, quando ciò che ho elencato sopra inizia a diventare un po’ troppo frequente, vuol dire che dobbiamo farci qualche domanda. Dove sto sbagliando?
Qualche risposta in più io l’ho avuto facendo un corso interno all’azienda su “La guida e lo sviluppo dei collaboratori”.

Innanzitutto ho scoperto che per gestire i collaboratori ci sono delle tecniche da applicare con costanza. E già mi sono sentita meglio. Se c’è una tecnica intanto significa che se ne sono consapevole, la imparo e mi applico posso migliorare i risultati, e poi se ci sono state delle persone che si non prese la briga di inventare delle tecniche vuol dire che il problema è piuttosto comune, e in parte insito nella natura umana.
Qualche pillola di quello che ho imparato al corso vorrei condividerla con voi.

Avviso
Innanzitutto queste tecniche sono diventate più raffinate rispetto a qualche tempo fa quando bastava il lume di naso e il buonsenso per guidare un gruppo. Prima con un pò di rispetto e 4 obiettivi eri a posto. Ora invece le leve economiche si sono ridotte. L’ansia da risultati, l’incertezza del futuro, la forte competizione e la legge Fornero possono avere creato situazioni di forte tensione nelle quali lo sfaldarsi dei rapporti è facilissimo. Allora bisogna diventare bravi con altri metodi, avendo bene in testa che non esiste un modo assoluto più corretto per guidare un gruppo: molto dipende dal proprio carattere e da quello dei propri collaboratori.

Il tacchino e lo scoiattolo
Essendo io molto determinata lo davo per scontato, ma poi ho scoperto che non è così: è sbagliato pensare che tutti possono fare tutto con la volontà e l’esercizio. E c’è un proverbio che dice “puoi insegnare ad un tacchino ad arrampicarsi su un albero, ma forse è meglio se assumi uno scoiattolo”. Quindi invece di ostinarsi a cavare fuori il sangue da una rapa è opportuno concentrarsi sui punti di forza dei collaboratori, passando del tempo al loro fianco, specie dei migliori (spesso trascurati), per aiutarli a crescere mettendoli al posto giusto.

I colloqui di valutazione
Chiaramente è venuta fuori la necessità di porsi in ascolto del proprio gruppo, di imparare a delegare e ad insegnare a risolvere i problemi anziché caricarseli sulle proprie spalle. Un po’ come si fa (o si dovrebbe fare) con i figli.
Nelle aziende che fanno veramente gestione e sviluppo delle risorse umane questo avviene attraverso un sistema di colloqui individuali con una traccia creata o condivisa da tutti i settori. Se questo non avviene (quante aziende lo fanno?) si può sempre adottare questo sistema con il proprio gruppo, individuando gli obiettivi per ogni figura professionale e cercando di analizzare competenze e motivazioni. Anche se può dare fastidio o fare male fare questo tipo di indagine, il “non detto” dovrebbe fare molta più paura, specie nel lungo periodo.

Le persone sono tutte diverse
C’è chi ricerca il prestigio personale, chi ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo e chi invece ama essere un esecutore e vuole l’autorità. E’ evidente che persone diverse vanno affrontate con approcci diversi, e il primo passo è capire chi abbiamo in squadra e a che tipologia appartiene.
Quello che mi ha fatto riflettere di più è la questione della motivazione, ovvero che ci sono delle persone che la motivazione a fare il proprio lavoro ce l’hanno in pancia e che ci credono già da sole, mentre altre persone fanno un lavoro “giusto perché qualcosa bisogna fare” e la motivazione bisogna iniettargliela da fuori. Poiché questi ultimi sono inclini al lamento e alla polemica, è necessario fare degli sforzi manageriali aggiuntivi. Salvo poi scoprire che quelle stesse persone, svogliatissime sul lavoro, al di fuori dell’azienda hanno un hobby o un’altra attività che gestiscono con una passione impensabile.

Il compitino a casa della prima giornata del corso è stato quello di focalizzare gli aspetti su cui andiamo già bene e quelli sui quali dobbiamo cambiare. Io la mia lista l’ho fatta, e vi consiglio di fare la vostra. Potrebbero esserci delle sorprese.


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