Ogni tanto rifletto sulla
gestione delle mie collaboratrici e sulle problematiche che mi trovo ad
affrontare dettate dalla convivenza di 8 donne, di cui la maggior parte a
part-time.
In presenza di situazioni
critiche mi viene da pensare se quello che faccio va bene o se potrei/dovrei
operare in modo diverso.
Quello del “Capo” è un ruolo tutt’altro che semplice. Da una parte bisogna raggiungere i risultati richiesti dell’azienda, dall’altra è necessario orientare la squadra, motivandola e valutando i suoi bisogni. Nel fare questo ci si deve comportare come politici navigati, e ogni tanto si accarezza il pensiero che “il lavoro non sarebbe niente se non ci si dovesse scontrare con i problemi che nascono dall’essere il referente di altre persone”. Insomma la gestione dei collaboratori anziché un’opportunità di confronto rischia di diventare una “scocciatura”.
Devo dire che su questo punto sono stata piuttosto fortunata, perché nel mio ufficio sono riuscita a creare un buon equilibrio interno, però anche a me è capitato di:
- passare tanto (troppo) tempo a fare digerire
decisioni aziendali ostiche;
- passare tanto (troppo) tempo a spiegare e
rispiegare un compito che a me sembrava banale;
- passare tanto (troppo) tempo a discutere su
come, quando, chi e perché deve fare le ferie;
- passare infinito tempo a cucire e ricucire i
rapporti con gli altri uffici quando nascono degli assurdi campanilismi, o
quando bisogna mettere un tappo alle inefficienze degli altri settori.
E così dicendo.
Ma soprattutto, quello che mi manda veramente in crisi, è quando al rientro da una riunione dove si è parlato dei massimi sistemi, o di argomenti che impattano sul futuro dell’azienda, mi trovo a dover risolvere una problematica contabile di (giuro) 10€, che in quel momento sta mettendo in crisi qualcuna.
Aaagh!!
Ecco, quando ciò che ho elencato
sopra inizia a diventare un po’ troppo frequente, vuol dire che dobbiamo farci
qualche domanda. Dove sto sbagliando?
Qualche risposta in più io l’ho avuto facendo un corso interno all’azienda su “La guida e lo sviluppo dei collaboratori”.
Innanzitutto ho scoperto che per
gestire i collaboratori ci sono delle tecniche
da applicare con costanza. E già mi sono sentita meglio. Se c’è una tecnica
intanto significa che se ne sono consapevole, la imparo e mi applico posso
migliorare i risultati, e poi se ci sono state delle persone che si non prese
la briga di inventare delle tecniche vuol dire che il problema è piuttosto
comune, e in parte insito nella natura umana.
Qualche pillola di quello che ho imparato al corso vorrei condividerla con voi.
Avviso
Innanzitutto queste tecniche
sono diventate più raffinate rispetto a qualche tempo fa quando bastava il lume
di naso e il buonsenso per guidare un gruppo. Prima con un pò di rispetto e 4
obiettivi eri a posto. Ora invece le leve economiche si sono ridotte. L’ansia
da risultati, l’incertezza del futuro, la forte competizione e la legge Fornero
possono avere creato situazioni di forte tensione nelle quali lo sfaldarsi dei
rapporti è facilissimo. Allora bisogna diventare bravi con altri metodi, avendo
bene in testa che non esiste un modo assoluto più corretto per guidare un
gruppo: molto dipende dal proprio carattere e da quello dei propri
collaboratori.
Essendo io molto determinata lo
davo per scontato, ma poi ho scoperto che non è così: è sbagliato pensare che
tutti possono fare tutto con la volontà e l’esercizio. E c’è un proverbio che dice
“puoi insegnare ad un tacchino ad arrampicarsi su un albero, ma forse è meglio se
assumi uno scoiattolo”. Quindi invece di ostinarsi a cavare fuori il sangue da
una rapa è opportuno concentrarsi sui punti di forza dei collaboratori,
passando del tempo al loro fianco, specie dei migliori (spesso trascurati), per aiutarli a crescere
mettendoli al posto giusto.
I colloqui di valutazione
Chiaramente è venuta fuori la necessità di porsi in ascolto del proprio gruppo, di imparare a delegare e ad insegnare a risolvere i problemi anziché caricarseli sulle proprie spalle. Un po’ come si fa (o si dovrebbe fare) con i figli.
Nelle aziende che fanno veramente gestione e sviluppo delle risorse umane questo avviene attraverso un sistema di colloqui individuali con una traccia creata o condivisa da tutti i settori. Se questo non avviene (quante aziende lo fanno?) si può sempre adottare questo sistema con il proprio gruppo, individuando gli obiettivi per ogni figura professionale e cercando di analizzare competenze e motivazioni. Anche se può dare fastidio o fare male fare questo tipo di indagine, il “non detto” dovrebbe fare molta più paura, specie nel lungo periodo.
Le persone sono tutte diverse
Chiaramente è venuta fuori la necessità di porsi in ascolto del proprio gruppo, di imparare a delegare e ad insegnare a risolvere i problemi anziché caricarseli sulle proprie spalle. Un po’ come si fa (o si dovrebbe fare) con i figli.
C’è chi ricerca il prestigio
personale, chi ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo e chi invece ama
essere un esecutore e vuole l’autorità. E’ evidente che persone diverse vanno
affrontate con approcci diversi, e il primo passo è capire chi abbiamo in
squadra e a che tipologia appartiene.
Quello che mi ha fatto
riflettere di più è la questione della motivazione, ovvero che ci sono
delle persone che la motivazione a fare il proprio lavoro ce l’hanno in pancia
e che ci credono già da sole, mentre altre persone fanno un lavoro “giusto
perché qualcosa bisogna fare” e la motivazione bisogna iniettargliela da fuori.
Poiché questi ultimi sono inclini al lamento e alla polemica, è necessario fare
degli sforzi manageriali aggiuntivi. Salvo poi scoprire che quelle stesse
persone, svogliatissime sul lavoro, al di fuori dell’azienda hanno un hobby o
un’altra attività che gestiscono con una passione impensabile.
Il compitino a casa della
prima giornata del corso è stato quello di focalizzare gli aspetti su cui
andiamo già bene e quelli sui quali dobbiamo cambiare. Io la mia lista l’ho
fatta, e vi consiglio di fare la vostra. Potrebbero esserci delle sorprese.
Vai già via?
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